domenica 28 giugno 2015

Paolo Rossi. C'è chi disse no.

Paolo Rossi con la maglia del Lanerossi Vicenza
“Papà, ma Paolo Rossi veramente può rifiutarsi di venire al Napoli?”

Era il 29 giugno di trentasei anni fa, un venerdì fatto di ozio, come quasi tutti i giorni dopo la chiusura delle scuole, di ozio sì, ma anche di lettura della “Gazzetta dello Sport” che Don Achille il giornalaio mi teneva da parte nei giorni in cui all’edicola arrivavo più tardi.
Sì, perché in quegli anni i quotidiani finivano presto. Don Achille aveva la sua edicola sotto la stazione della metropolitana e la mattina in tanti compravano il giornale prima di andare al lavoro.
Quasi tutti chiedevano “Il Mattino”, molti “Il Corriere”, che a Napoli era naturalmente quello “dello Sport”, non quello “della Sera”. La “Gazzetta dello Sport” era considerata troppo “del nord”, ma a me piaceva e la compravo spessissimo.
Però in quei giorni di trattative tra Ferlaino e Farina anche la “Gazzetta” andava a ruba. E l’amico giornalaio, al quale in verità lasciavo settimanalmente intere paghette, non si dimenticava mai di me.

“Robè, e che ne so… fino ad oggi nessuno si è mai rifiutato di venire a Napoli”. Mio padre chiuse la questione basandosi sui suoi ricordi.
In realtà l’introduzione (sin dal maggio 1978 ) della “firma contestuale” consentiva a Paolo Rossi di rifiutare il suo trasferimento a Napoli, ma non era questo il punto.
Come mai “Pablito”, capocannoniere della serie A nel 1978 e rivelazione dei mondiali in Argentina dello stesso anno era entrato nel mirino del Napoli? E perché un giocatore come lui non voleva venire a Napoli?

Paolo Rossi durante i mondiali del 1978
Le cronache dell’epoca raccontano che Giussy Farina, presidente del Vicenza appena retrocesso in Serie B, doveva assolutamente sistemare il bomber della nazionale in una squadra di Serie A, possibilmente una grande squadra. La permanenza a Vicenza sarebbe stata impossibile visto che oramai Rossi era titolare fisso in nazionale. Il ragazzo aveva espresso al presidente le sue preferenze: o Juve (nelle cui giovanili aveva già giocato) o Milan (campione d’Italia nel 1979).
C’era però un problema: la Juventus aveva fatto svenare appena un anno prima Farina per la comproprietà di Rossi. Infatti, in assenza di un accordo per la risoluzione della comproprietà stessa, si andò alle buste. E clamorosamente il Vicenza offrì la cifra più alta, circa 2 miliardi e 600 milioni di lire.

Ora la Juve restava alla finestra. Difficilmente il suo presidente Boniperti sarebbe andato incontro alle pretese di Farina. Poi storicamente la Juve non partecipava ad aste di calciatori.
Il Milan sembrava invece totalmente disinteressato al giocatore.


Il presidente del Vicenza del
1979, Giuseppe "Giussy" Farina
L'allora presidente del
Napoli, Corrado Ferlaino
All’improvviso il Napoli piombò su Rossi. L’offerta del presidente Ferlaino era corposa. Si parlò subito di una valutazione intorno ai cinque miliardi di lire.
Come già accaduto quattro anni prima con l’acquisto di Giuseppe Savoldi, mister 2 miliardi, non appena appurato l’interessamento a Pablito da parte del Napoli, il mondo dell’informazione si staccò dal calcio e si tuffò sui problemi della città partenopea. 
E fu paradossalmente proprio il sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, primo sindaco comunista nella storia della città, a dare il “la” alle polemiche, tuonando contro il “supercommercio di uomini”.
Il battibecco tra sindaco e presidente del Napoli Calcio fu avvilente, tra accuse reciproche ed insulti.

Maurizio Valenzi,sindaco di Napoli
dal 1975 al 1983
“Rancori ed odi mai sanati”, scriveva “La Stampa” di Torino, giornale della famiglia Agnelli, che aggiunse prontamente una lista dei problemi di Napoli, quasi che gli stessi potessero essere risolti utilizzando i soldi che Ferlaino stava per spendere per l’acquisto di Paolo Rossi.

Valenzi si ricrederà alcuni giorni dopo, forse per il timore di divenire improvvisamente impopolare, o forse per la sensazione che le sue frasi potevano aver alimentato le solite critiche verso la città di cui era sindaco.



Quando il passaggio di Rossi al Napoli sembrò ormai certo, alcuni giornali del nord ci informarono prontamente che i tifosi del Napoli “sull’onda di un cieco entusiasmo, alla notizia dell’arrivo del centravanti vicentino sono accorsi a sottoscrivere abbonamenti… la società ha raccolto fior di quattrini anche nelle sacche della disgregata cintura suburbana…”.
Insomma, una descrizione non proprio tranquillizzante per chiunque avesse già manifestato una certa ansia di rimanere soffocato dall’abbraccio dei tifosi e magari avesse voluto fare della privacy un caposaldo della propria esistenza .

Questo era lo scenario in cui Paolo Rossi, detto Pablito, di anni 23, si trovò all’inizio dell’estate del 1979.
E' comunque doveroso ricordare che il Napoli era una squadra che non aveva vinto ancora nulla, con grandi aspirazioni ma di fatto una squadra di metà classifica.
Lui non credo conoscesse la città. Gli stereotipi intorno a Napoli erano molto solidi.
Forse si fece consigliare da fidanzata, famiglia, amici e colleghi. Forse pensava che alla fine al Milan o alla Juve ci sarebbe finito lo stesso, visto che in Serie B non avrebbe di certo giocato. Diamine, lui era "Pablito", il centravanti dell’Italia…

Ecco che Paolo Rossi disse di no.
Disse “sono stanco di fare l’uomo spettacolo, non mi va di essere protagonista a vita”.
Parlò di “spensieratezza della gioventù”, di “preoccupazione per la sua esistenza”.

Napoli già offesa da chi scriveva di una città “disposta per un’ora di svago a grossi sacrifici, a dimenticare lo stato di emarginazione e miseria”, lo fu ancor di più per non essere stata capita da un ragazzo di 23 anni che si rifiutava di indossare la maglia azzurra.

Così Rossi non si trasformò in un “San Gennaro del gol, un santino a cui si chiede la vittoria come miracolo ogni domenica”, come scrisse qualcuno dando fondo al più classico campionario di luoghi comuni.

Di fatto Rossi non volle prendersi la responsabilità di divenire l’uomo simbolo di una squadra in cerca del suo primo scudetto. Non volle sulle spalle il peso di una città sempre in cerca di riscatto, soprattutto attraverso il calcio.

Paolo Rossi dichiarò di volere essere solo uno degli undici in campo.
A Napoli forse sarebbe stato impossibile.
Però credo che in cambio Napoli gli avrebbe dato un affetto incredibile.
Come la storia dimostrò con un altro ragazzo, poco più che ventitreenne, appena cinque anni dopo…


venerdì 12 giugno 2015

Sarri Maurizio, napoletano a furor di popolo. Per ora.


Maurizio Sarri allo stadio San Paolo

L'avevo detto a Bruno e Michele.
Si, glielo avevo detto: "quell'allenatore non è un fesso".

Loro no, hai voglia a perdere tempo e spiegare che quel signore in tuta aveva studiato bene il Napoli e che conosceva i punti deboli della squadra di Rafa Benitez. Hai voglia a dire che l'Empoli era stato caricato a molla dal suo allenatore per fare la prestazione dell'anno.

Loro no. Bruno e Michele erano incavolati neri con il Napoli, con il suo allenatore, con i calciatori e pure con il presidente! Per la cronaca Bruno e Michele non hanno niente a che fare con "Gino e Michele". Non scrivono libri di barzellette, non fanno i comici e non si occupano di cabaret. In compenso fanno il tifo per il Napoli. Che quella sera qualcosa di comico lo aveva avuto, soprattutto in difesa.

Però l'uomo in tuta, all'anagrafe Maurizio Sarri, ci mise molto di suo per rendere ridicola la prestazione del Napoli. La sua squadra aveva dominato in tutte le zone del campo ed i suoi attaccanti passavano da tutte le parti. 
E a fine partita quasi quasi non era neanche contento del 4-2, diceva che "il 4-1 rispecchiava meglio l'andamento della partita".
"Di solito i giocatori giovani e meno famosi fanno i partitoni contro il Napoli per mettersi in evidenza", provai a dire sommessamente mentre il cameriere de "Gli Scugnizzi" di Empoli ci serviva le nostre pizze "Pulcinella" con mozzarella di bufala DOP.
Il maxi-schermo di fronte al tavolo, in una sorta di supplizio cinese, ci riproponeva di continuo gli highlights della partita che avevamo da poco finito di vedere dalla tribuna sud del "Castellani". 
"Non è possibile prenderne quattro! Non è possibile perdere con l'Empoli!". Bruno non voleva sentire ragioni o giustificazioni. "Vedi Bruno - provavo a ragionare - in tanti dicono che l'Empoli gioca bene, in tanti vogliono il suo allenatore, come si chiama? Ah si, Sarri. Dicono che andrà al Milan. Poi stasera ha giocato benissimo, non trovi?"
"Eh già, mò ci mettiamo pure paura dell'Empoli e del suo allenatore... E' arrivato il nuovo Guardiola!".

Ripensavo ai giocatori che fanno "il partitone" contro il Napoli, magari sperando in un ingaggio futuro con una grande squadra.
Non immaginavo che invece quell'ingaggio lo avrebbe guadagnato l'uomo in tuta, ovvero Sarri Maurizio da Figline Valdarno, classe 1959, come scrivevano una volta i giornali che ne capiscono.
Tranne poi accorgersi che si tratta di Sarri Maurizio da Napoli, casualmente da Napoli.
Dico casualmente da Napoli ripensando a Claudio Gentile da Tripoli, o Pepito Rossi da Teaneck.

Però ho l'impressione che per molti partenopei il suo certificato di nascita abbia un'importanza particolare, quasi lo scoglio a cui aggrapparsi per credere in lui fino in fondo.
E' inutile fingere che non sia così, la sua scelta ha provocato molto sconcerto. Gli addetti ai lavori gli sorridono, ma temo che siano pronti ad impallinare lui ed il suo presidente se le cose dovessero andare male.
Chi conosce il calcio italiano sa benissimo che in quel caso in tanti ricorderanno all'allenatore il suo pedigree operaio fatto anche di esoneri ed al presidente la sua incoerenza.
Le fughe di notizie su presunti (quanto improbabili fino a prova contraria) contatti tra la SSC Napoli e Vincenzo Montella (anche lui da Napoli e dintorni) sono il primo biglietto da visita che Sarri dovrà tenere ben conservato. Il primo avvertimento che a Napoli a volte funziona così.
E che lui già parte con l'handicap. L'handicap di chi agli occhi di una parte della tifoseria potrebbe non essere stato la prima scelta, e forse neanche la seconda.
E quella napoletanità ostentata per conto terzi da alcuni notabili cittadini come un prezioso marchio di fabbrica, pur se solo di nascita e non di formazione, sarà presto dimenticata se non sarà accompagnata dai risultati, non dico " 'o scudetto", ma almeno da prestazioni all'altezza del blasone percepito dai tifosi e da tante "maglie sudate", come recita l'ultima tendenza cittadina.

Il commento di De Magistris: "Benvenuto a un figlio di Napoli, a un figlio di Bagnoli"

Maurizio Sarri ci proverà, questo è certo. E mal che vada si consolerà pensando che per fare quattro passi vicino al mare almeno non avrà dovuto fare sessantacinque chilometri di FI-PI-LI prima di arrivarci...