domenica 4 ottobre 2015

QUANTO CONTANO GLI ALLENATORI? Ennesima puntata...

Non sono un grande appassionato di allenatori.
A mio avviso essi contano, nella migliore delle ipotesi, il 20% rispetto al risultato finale. Quando le cose vanno bene.
Possono valere invece più del 50% quando con caparbietà guastano quello che di buono sanno fare i giocatori.
Vorrei scattare un'istantanea sul momento attuale di alcuni di loro.

Mourinho: insistendo nel chiedere sempre nuovi giocatori ha demotivato i vecchi. Che lo hanno mollato. Il presidente non gli compra più tutte le figurine che chiede ed è sempre più solo. Voto 2



Mancini: vuole seguire la scia del portoghese chiedendo giocatori a raffica e magari facendoli cedere in svendita pochi mesi dopo... E' confusionario e presuntuoso. Non ci si faccia illudere dai 15 punti in sette partite, non vincerà lo scudetto. E' mediaticamente protetto e rispettato, sin dal primo giorno di professione. Credo vanti amicizie nell'ambiente che lo hanno tenuto (finora) al riparo. 
Voto 5


Il serbo: molto considerato, quasi quanto il Mancio, ma è ancor più confusionario. Vanta palmares da brividi. I suoi modi portano forse risultati in alcuni ambienti e per poco tempo. Contento (da napoletano) di averlo scansato. Mediaticamente protetto e rispettato dai suoi antichi compagni di merende che ora commentano  le partite in TV. 
Alla prima amichevole già tutti a dire "si vede la mano dell'allenatore", soprattutto dopo ogni risultato positivo. Ora invece è colpa della squadra. 
Voto 4 (a Sinisa), Voto 2 (a chi da due anni lo sta esaltando)


Allegri: un allenatore che nella sua storia è sempre partito pianissimo, il perché non si sa. L'anno scorso la sua squadra correva sin dall’inizio, ma era una gradita eredità. 
Lui però seppe aggiungere e non togliere. 
Fa parte della schiera di coloro che intelligentemente non fanno le rivoluzioni in nome di un credo calcistico e poi magari finiscono per rompere il giocattolo. Quest'anno la squadra è tutta sua e quindi ha ripreso a partire piano. Però è maledettamente sfortunato con gli infortuni. O ha delle responsabilità o è proprio sfigato. 
La società non lo sta totalmente supportando, più per distrazione che per cattiveria. Ma il livornese non è juventino nel DNA, quindi deve stare attento, a Torino preferiscono quelli che hanno il sangue bianconero. 
La sua squadra ha avuto una metamorfosi europea straordinaria, non se la fa più addosso al di là dei confini. Si riprenderà in Italia e credo tornerà ad essere la candidata numero uno per lo scudetto. 
Voto 6- (di stima)


Garcia: ingiudicabile, direi incomprensibile. Dal calcio italiano ha imparato a parlare troppo. Ha dato materiale a radio, giornali e TV, ma ciò non gli è bastato per acquisire l'indulgenza plenaria dei media. Lo vedo spesso in confusione. Però in squadra ha calciatori forti. Se si limitasse a fare cose semplici, e a stare un po’ più zitto, i risultati gli arriderebbero maggiormente. L'ambiente è il grande handicap ma Garcia ci mette molto di suo per sconcertare i tifosi della Roma. 
Voto 5


Paulo Sousa: persona apparentemente equilibrata. Sembra sapere ciò che vuole. Intelligentissimo nel non buttare via il lavoro di chi lo ha preceduto, lavoro che aveva fruttato dei quarti posti che solo per poco non sono stati migliorati. 
Ci ha messo sicuramente tanto del suo nel dare stabilità e solidità a tutto l'impianto di gioco. 
Voto 7


Sarri: quando ha iniziato il suo lavoro a Napoli godeva di favori mediatici inattesi. Quindi ha ben pensato che poteva fare tranquillamente il rivoluzionario riempiendo la testa dei calciatori di nuove idee e nuovi schemi. Quando ha capito (dai risultati) che forse non valeva la pena buttare via il bambino con l'acqua sporca (ovvero mandare in confusione un attacco atomico) è tornato a Canossa (può darsi che alcuni calciatori glielo abbiano fatto capire?), restituendo brio al miglior reparto offensivo italiano. 
Ha capito in tempo, ed anche lui come Allegri e Paulo Sousa ha avuto la furbizia di sfruttare l’esperienza del lavoro di chi l'aveva preceduto. Si è giustamente concentrato sul problema reale, cioè la protezione della difesa. Il presidente gli ha rinforzato la squadra, checché ne dicano i tifosi partenopei ed ecco che l'alchimia inizia a funzionare. Aspettando le partite con le piccole squadre, autentico tallone d'Achille del Napoli degli ultimi sette anni. 
Voto 7,5 (oggi)


Una chiosa finale sul meraviglioso e competente pubblico che “è esigente e merita di più".
Per una sorta di nemesi, oggi in evidenza (e ai primissimi posti) ci sono le squadre di tre presidenti contestatissimi.

 
I Della Valle, Lotito e Aurelio De Laurentiis sono spesso attaccati dalla stampa delle loro città, dai media locali e dai tifosi, questi ultimi forse fomentati proprio dai primi due soggetti, e qualcuno dei tre persino da insospettabili amministratori cittadini...

Molti di noi già credevano da tempo che le tre società in questione stessero facendo un buon lavoro. Solo che tanti altri pensano che sono solo i milioni spesi (o buttati via) a far vincere qualcosa.




Vedremo a fine torneo chi andrà in Champions League. Magari proprio un paio fra queste tre società contestate…

Roberto Liberale

venerdì 31 luglio 2015

LE NOTTI D'ESTATE "VERY HOT" DELLE OLIMPIADI DI LOS ANGELES 1984

Il logo delle Olimpiadi di
Los Angeles del 1984

Chi si ricorda di Marco Dell’Uomo? E qualcuno ricorda Giovanni Franceschi?
Eppure trentuno anni fa, proprio durante questi stessi primi giorni di agosto, la mattina in panetteria, in edicola, in metropolitana, e soprattutto con i colleghi di lavoro e magari con i propri familiari, si parlava molto di questi due nuotatori. E si parlava delle finali olimpiche che durante la notte italiana li avrebbe visti come “sicuri protagonisti”. Finali di nuoto "da non perdere assolutamente", costi quel che costi.




La cerimonia di apertura delle
XXIII Olimpiadi
In effetti, quando Ronald Reagan a Los Angeles dichiarò aperti i Giochi della XXIII Olimpiade, non immaginava di fornire ai maschi italiani un alibi enorme per giustificare lunghe nottate da soli davanti alla TV come mai era accaduto fino ad allora. E di come quell’estate sarebbe stata ricordata come una tra le più calde, almeno sul piccolo schermo. Grazie alla silenziosa alleanza tra le maratone televisive dedicate alle Olimpiadi e quelle delle TV locali dedicate al cinema per adulti.
Sì, perché prima dell’epoca di Internet e dei siti per adulti, molto prima dell’avvento dei DVD a luci rosse, e ancora prima delle videocassette amatoriali, proprio da quell’estate iniziò l’epopea delle TV locali che, prima delle restrizioni imposte da pretori e da leggi ad hoc, si presero cura per anni di portare i film porno nei salotti delle case italiane.

Fino al 1984 guardare dei film pornografici a casa propria era molto difficile, se non grazie a qualche Super-8 svedese o tedesco che circolava clandestinamente. Altrimenti c’erano i tanti cinema a luci rosse, luoghi considerati però squallidi, e nei quali si correva il rischio di essere visti e riconosciuti.

Eppure il cinema porno è sempre stato un’industria redditizia fin dagli anni ’70, tanto da considerare, ad esempio, dei film come “Gola Profonda” come delle vere opere d’arte. La sua grande, ma nascosta, diffusione è stata osteggiata dal cosiddetto “comune senso del pudore”, almeno quello pubblico, e da una morale bigotta, arrivando addirittura ad ottenere l’effetto opposto, in altre parole alimentando la curiosità degli spettatori tramite l’uso frequente della censura che non faceva altro che pubblicizzare gratuitamente i film vietati. Un esempio è il caso di "Caligola" di Tinto Brass che nel 1979 ebbe un gran successo di programmazione dopo le denunce ed i successivi sequestri, arrivando addirittura ad una sentenza di distruzione delle copie senza che questo impedisse alla pellicola di diventare un "cult" dell'epoca. 

Le TV locali esplosero e divennero famose anche grazie al sesso. Già all’inizio degli anni ’80 proponevano degli spogliarelli caserecci che, prima nei fine settimana, poi quotidianamente, imperversavano in TV subito dopo la mezzanotte, poi passarono a lunghe rassegne “sexy” fatte di film “soft-core”, soprattutto nel sabato notte.

Tutto ciò fino al grande spartiacque dei primi film esplicitamente porno mandati in onda da temerarie emittenti che, approfittando di vuoti legislativi, trovarono presto decine di migliaia di affezionati telespettatori. La messa in onda nel 1983 da parte di "Canale 21", emittente di punta tra le TV locali partenopee, di ”Johanna la Farfalla” ebbe un’eco fragorosa in città. In pochi sapevano o immaginavano che persino "Canale 21" avrebbe aperto al porno in maniera così clamorosa. Se ne parlò tanto nei giorni successivi tra i telespettatori increduli e coloro che si erano lasciati scappare la visione, fino a che qualche mese dopo lo stesso Canale 21 ripropose la pellicola (che non trattava di Entomologia o Lepidotteri) annunciandola addirittura nel suo palinsesto quotidiano sulla pagina degli spettacoli de “Il Mattino” e raggiungendo “share” degni di una finale di Coppa dei Campioni.

Poi arrivarono gli “Olympic Games”. Non so se la scelta dei palinsesti notturni delle TV locali durante l’estate del 1984 fosse stata influenzata dalla maggiore presenza di telespettatori dovuta alle Olimpiadi di Los Angeles. Sicuramente TV private e RAI (che all’epoca trasmetteva in esclusiva le Olimpiadi) si aiutarono a vicenda. 

Monoscopio RAI sui teleschermi
notturni negli anni '80

Per chi fosse troppo giovane ricordo che all’epoca la TV non trasmetteva ancora 24 ore su 24. E che soprattutto gli orari degli italiani erano molto diversi da quelli di oggi. Le trasmissioni televisive più seguite terminavano al massimo alle 23 e più o meno tutti andavano a letto ben prima di mezzanotte. Quindi le pochissime cose trasmesse dopo le 24 avevano poco seguito e l’una di notte era considerata notte fonda.



Chi è pratico di Olimpiadi sa che le prime giornate vedono il nuoto come sport principale, con grande spazio lasciato agli sport cosiddetti minori. Roba per amatori e veri appassionati, soprattutto perché i primi giorni di Los Angeles 1984 non proponevano ancora molti atleti italiani da medaglia. Eppure quando dal salumiere cominciai a sentir parlare di finale olimpica di “dressage” non potei non restare stupito. Sulla “Gazzetta” diedi uno sguardo al palinsesto della notte in arrivo e vidi che la finale sarebbe iniziata intorno all’una della notte tra 31 luglio e 1 agosto.
Lessi il giornale con maggiore attenzione e mi informai sui favoriti, visto che si doveva trattare di cosa assai interessante, e da neofita dell’equitazione imparai l’età e le caratteristiche equine di Limandus, Marzog e Ahlerich, cavalli di razza cosiddetta “Hannover”. Cavalli e cavalieri favoriti erano tutti più o meno teutonici.

Il pluri-campione olimpico di
Dressage, Reiner Klimke, nella
diretta TV da Los Angeles nel 1984
Rientrato in piena notte da un martedì sera passato con gli amici (beata gioventù...), mi sintonizzai sul canale olimpico. Il dressage era una disciplina strana, un lento balletto di un cavallo all’interno di un rettangolo grande un quarto di un campo di calcio, con tanto di votazione finale da parte dei giudici. Talmente soporifero da resistere con lucidità al massimo per una decina di minuti. Immaginate all’una di notte passata…
Il volume della TV era tenuto basso per non disturbare i vicini e fatalmente mi appisolai davanti alla TV. Nel dormiveglia, dalle finestre aperte dei palazzi del quartiere mi arrivarono sospiri e mugolii con musiche di sottofondo. Mi affacciai e vidi tante TV accese con l’eco dello stesso canale. Incuriosito, feci il mio bravo zapping e mi imbattei in “Napoli TV”, canale locale in crescita. Anche su "Napoli TV" la Germania la faceva da padrona, solo che non si trattava del leggendario Reiner Klimke, campione olimpico per l'ennesima volta di lì a qualche ora, bensì di attori ed attrici intenti ad attività meno olimpiche. Si trattava di cortometraggi pornografici tedeschi, ed allora capii tutta la passione degli abitanti del mio quartiere per il dressage. I cavalli avrebbero fatto la loro apparizione più avanti anche nei film. Non so dirvi però se si trattasse di esemplari della razza “Hannover” o meno…

La squadra italiana oro nel Pentathlon
moderno nelle Olimpiadi 1984
Da quel giorno iniziai a decifrare le frasi che sentivo in giro nel quartiere. Vedevo facce stanche ma felici per le prime medaglie italiane. Almeno così dicevano i numerosissimi appassionati di Pentathlon Moderno che la notte tra 1 e 2 agosto videro (?) il trionfo di Daniele Masala, Carlo Massullo, Roberto Petroni e Pierpaolo Cristofori. Alle due della notte precedente, ora italiana, la squadra azzurra aveva preso il via nell'ultima gara, la corsa dei 4000 mt, a caccia dell’oro. In contemporanea "Napoli TV" ed altre emittenti partirono con la loro contro-programmazione a caccia di telespettatori. Molti dovettero fare una scelta, i 4000 mt erano una gara relativamente breve, anche i cortometraggi lo erano. Alla fine tutti furono contenti, almeno l'oro olimpico giustificò ufficialmente agli occhi di chi dormiva ignaro (o ignara) la lunga nottata davanti alla TV.

Poi arrivarono le notti di Giovanni Franceschi, finalista dei 400 misti, utilizzato come paravento per la visione di un film svedese degli anni '70. Marco Dell’Uomo, finalista dei 400 stile libero, divenne invece l’alibi perfetto per guardare una pietra miliare del porno francese.
Poi migliaia di spettatori nelle notti d’agosto per Fossa Olimpica, Ginnastica Artistica, Sollevamento Pesi e Lotta Greco-Romana, share da record persino per la finale di Hockey su Prato tra Pakistan e Germania Ovest, coperture più che efficaci per filmini nazionali ed internazionali

Lo sprint finale di Alberto Cova
nei diecimila di Los Angeles
Finalmente fu il momento dell’Atletica Leggera, per la cui visione notturna qualsiasi sospetto era fugato, trattandosi della regina delle discipline olimpiche con tanto di candidati italiani alle medaglie
Molte TV private campane si erano già accorte che il filone olimpico era estremamente redditizio in termini di share. Nell’attesa delle finali di atletica più importanti, alcune TV riuscivano a tenere alta la tensione proponendo sondaggi tra i telespettatori per la scelta del film della notte, elencando tre o quattro prodotti profondamente diversi, solitamente un classico, un film a sfondo religioso, un western ed un porno. Le barrette elettroniche, fatte con un Commodore 64, segnalavano le preferenze degli utenti. Di solito, dopo inizi balbettanti nei quali il film a sfondo religioso la faceva da padrone, il porno compieva sprint finali degni di quello di Alberto Cova nei 10000 di Los Angeles.

L’alternanza tra le gare olimpiche ed i filmini pornografici terminò ufficialmente il 12 agosto 1984.
Dal giorno successivo il porno prese pieno possesso delle nottate degli italiani.
Le TV locali fiorirono, a Napoli molti ricordano ancora nomi come Tele Flegrea, Tele Akery, Tele Miracoli, ecc., così come in altre città d'Italia tanti ricordi di gioventù sono rimasti legati a quelle TV private che infransero i tabù di una società bigotta ma segretamente peccaminosa.
Fino al divieto definitivo del porno sulle TV in chiaro avvenuto nel 2007 tramite disposizione della “Autorità per la Garanzie nelle Comunicazioni” e all’immediato definitivo sdoganamento dello stesso su Internet, dove la pornografia occupa oggi la fetta più grossa di contatti ed i siti per adulti più famosi collezionano milioni di visite al mese.

La copertina di "Time" dedicata
ad Ueberroth, organizzatore delle
Olimpiadi di Los Angeles


Peter Ueberroth non sa di essere stato a suo modo un benefattore. Non di certo per essere stato l’organizzatore di Los Angeles 1984, né per essere poi diventato uomo dell'anno di "Time", ma di sicuro per aver concesso ai telespettatori italiani una scusa per restare svegli nelle caldissime notti dell’estate 1984. Telespettatori che a loro volta non avrebbero avuto dubbi nell'assegnare a loro volta la copertina di "Time" al futuro presidente del Comitato Olimpico statunitense.

sabato 11 luglio 2015

Sono passati 33 anni dalla notte magica di Madrid: quando a New York nacque quell'impresa

Zoff solleva la Coppa del mondo al Santiago Bernabeu
Trentatrè anni fa, più o meno a quest’ora, minuto più minuto meno, la Nazionale Italiana di calcio conquistava il suo terzo titolo mondiale. Quell’11 luglio 1982 è una di quelle date di cui ogni italiano ricorda perfettamente ogni dettaglio, cosa faceva, dove si trovava e con chi.

Per la cronaca io ero sul divano di casa con il mio papà, noi due soli prima della gara, come durante le ultime tre partite.

Invece no. Due minuti prima del fischio d’inizio si sentì bussare alla porta. Era il nostro vicino di casa, tra l’altro totalmente a digiuno di calcio, che aveva deciso (portandosi dietro il suo bimbo di due anni) di guardare, proprio a casa nostra, questa famosa partita di cui aveva sentito parlare per strada.
Un brivido gelido mi attraversò la schiena. L’incantesimo rischiò di essere interrotto.
Al rigore sbagliato di Cabrini ebbi la sicurezza assoluta. La colpa era di Don Salvatore e figlio.
Volevo molto bene ad entrambi, ma non potevamo buttare un mondiale per colpa loro.
Però si vede che era una serata che doveva finire bene. Infatti, quasi alla fine del primo tempo il piccolino cominciò a piangere. Sperai che non si fermasse e così fu.
“Sig. Liberale, me ne devo andare per forza, Quello non smette di piangere e magari la mamma lo riesce a calmare”.
“Non vi preoccupate Sig. Salvatore – mi permisi di rispondere io – fate con comodo…”.

Comunque non volevo usare queste pagine per raccontare i miei ricordi, l’ho fatto solo perché sono certo che tutti quelli che hanno almeno quaranta anni si ricorderanno bene quella serata.
La serata in cui una squadra, che scoprimmo giorno dopo giorno essere fortissima, arrivò al titolo mondiale dopo polemiche e silenzi stampa.
Quella serata fu però l’apice di un percorso iniziato anni prima.
Andando all’indietro nel tempo ho fissato il momento in cui furono gettati i semi di quella vittoria in una data precisa: 28 maggio 1976. A questo punto vi lascio leggere la storia di quella serata.


Il manifesto ufficiale del torneo

Era venerdì 28 maggio 1976.
L’Italia si era presentata al Torneo del Bicentenario degli Stati Uniti d’America dopo un biennio fatto di pochissime vittorie (di cui nessuna realmente di prestigio), subito dopo l’uscita dagli Europei 1976 nella fase eliminatoria, e a due anni dal disastro sportivo dei mondiali 1974.

In panchina Bernardini e Bearzot ancora condividevano la guida tecnica, anche se Bearzot cominciava a prevalere nelle decisioni.
Dopo una facile vittoria con una rappresentativa USA fatta anche di ex-grandi calciatori da poco trasferitisi in America nel tentativo di esportare il calcio, alla nostra nazionale toccò l’Inghilterra, tradizionalmente ostica per i nostri colori viste le due sole vittorie in dieci partite, tra cui la storica conquista di Wembley il 14 novembre 1973.

Erano le 20.45 ora USA. Era appena terminato il primo tempo.
La leggenda racconta che negli spogliatoi dello Yankee Stadium di New York, adattato dal baseball al calcio per l’occasione, Bearzot avesse chiesto ai suoi ragazzi se se la sentissero di continuare a correre ed attaccare gli inglesi come avevano fatto per tutto il primo tempo o se fosse meglio stare un po’ più attenti, pensare a difendere il risultato e portare a casa il 2-0 senza correre troppi rischi.

La formazione iniziale della partita
Si, perché la Storia racconta che l’Italia stava strapazzando l’Inghilterra come mai era accaduto prima. Due a zero  all’intervallo grazie a due gol nei primi 19 minuti e soprattutto a un gioco fresco e brillante fatto di pressing e velocità che aveva sorpreso e tramortito i “leoni”.
Gli inglesi presenti in tribuna non ci capivano più nulla. Ma come? L’Italia squadra catenacciara che non fa vedere palla ai maestri?



Il secondo gol di Graziani

Torniamo alla domanda di Bearzot. La leggenda racconta che il “gruppo” rispose: “no mister, ci stiamo divertendo e continueremo così”.

La Storia racconta che quel giorno l’Italia non vinse la partita, anzi la perse 3-2. La rimonta inglese maturò in pochi minuti appena all’inizio della ripresa, complici distrazioni ed errori della nostra difesa.


La leggenda racconta che l’Italia voleva stravincere, ma a quanto pare il testosterone ci mise lo zampino. Le parole di Paolino Pulici riprese da Italo Cucci sul Guerin Sportivo circa l’atmosfera al rientro in campo dopo l’intervallo furono le seguenti:

Paolo Pulici
“La sfilata delle majorettes è andata per le lunghe, l’intervallo è durato circa venticinque minuti e noi eravamo già pronti a riprendere il gioco mentre quell’esercito di belle ragazze era ancora in campo. Sentivo uno che diceva: “guarda che belle gambe quella lì” e un altro: “guarda che bel sedere!”. Insomma, quando l’arbitro ha fischiato l’inizio della ripresa, c’era ancora chi “marcava” le americanine in minigonna e non l’avversario e quando hanno aperto gli occhi, Zoff era stato battuto già due volte». 
Quindi non fu solo l’imprudenza di produrre un gioco che nulla aveva a che fare con la tradizione del catenaccio e contropiede a mettere lo sgambetto all’Italia. La mancanza di concentrazione e forse la leggerezza di una partita che in fondo valeva poco fecero il resto.

Però la Storia racconta che l’Italia, dopo anni di calcio timoroso ed attendista, quella sera giocò davvero per la prima volta in maniera brillante e propositiva.
La risposta dello spogliatoio, benché non verificabile se non attraverso le testimonianze di chi in quello spogliatoio c’era, rappresentò probabilmente la voglia di scrollarsi di dosso anni di paura degli avversari fatti di partite sofferte ed in trincea a difendere il risultato.

Probabilmente la Storia e la leggenda racconterebbero insieme che quella sera (in Italia era notte fonda…) nacque lo spirito di quella nazionale che in 4 anni vinse un campionato del mondo, ed arrivò quarta in un mondiale ed un europeo.
E la prima delle tante grandi squadre che nei 4 anni successivi subirono delle storiche sconfitte da parte di quella nazionale italiana fu proprio l’Inghilterra, eliminata dagli azzurri dal mondiale del 1978 e sconfitta agli Europei del 1980.

Poi vennero Brasile, Argentina, Germania, ecc., ma anche questo è scritto nei libri di storia…

Le immagini dei gol di quella serata



INGHILTERRA – ITALIA 3-2

RETI: 15′ e 18′ Graziani (IT), 46′ Channon, 48′ Thompson, 53′ Channon (ING)

INGHILTERRA: Rimmer (dal 46′ Corrigan), Clement, Neal (dal 46′ Mills), Towers, Thompson, Doyle, Wilkins, Channon, Royle, Brooking, Hill.
A disposizione: Cherry, Kennedy, Taylor.
C.T.: D. Revie.

ITALIA: Zoff, Roggi (dal 57′ Maldera), Rocca, Benetti (dal 57′ Zaccarelli), Bellugi, Facchetti, Causio (dal 57′ C. Sala), Capello, Graziani, Antognoni, P. Pulici
A disposizione: Castellini (Torino), Bettega (Juventus).
C.T.: F. Bernardini; all.: E. Bearzot.

ARBITRO: Weyland (Germania Ovest). 


domenica 28 giugno 2015

Paolo Rossi. C'è chi disse no.

Paolo Rossi con la maglia del Lanerossi Vicenza
“Papà, ma Paolo Rossi veramente può rifiutarsi di venire al Napoli?”

Era il 29 giugno di trentasei anni fa, un venerdì fatto di ozio, come quasi tutti i giorni dopo la chiusura delle scuole, di ozio sì, ma anche di lettura della “Gazzetta dello Sport” che Don Achille il giornalaio mi teneva da parte nei giorni in cui all’edicola arrivavo più tardi.
Sì, perché in quegli anni i quotidiani finivano presto. Don Achille aveva la sua edicola sotto la stazione della metropolitana e la mattina in tanti compravano il giornale prima di andare al lavoro.
Quasi tutti chiedevano “Il Mattino”, molti “Il Corriere”, che a Napoli era naturalmente quello “dello Sport”, non quello “della Sera”. La “Gazzetta dello Sport” era considerata troppo “del nord”, ma a me piaceva e la compravo spessissimo.
Però in quei giorni di trattative tra Ferlaino e Farina anche la “Gazzetta” andava a ruba. E l’amico giornalaio, al quale in verità lasciavo settimanalmente intere paghette, non si dimenticava mai di me.

“Robè, e che ne so… fino ad oggi nessuno si è mai rifiutato di venire a Napoli”. Mio padre chiuse la questione basandosi sui suoi ricordi.
In realtà l’introduzione (sin dal maggio 1978 ) della “firma contestuale” consentiva a Paolo Rossi di rifiutare il suo trasferimento a Napoli, ma non era questo il punto.
Come mai “Pablito”, capocannoniere della serie A nel 1978 e rivelazione dei mondiali in Argentina dello stesso anno era entrato nel mirino del Napoli? E perché un giocatore come lui non voleva venire a Napoli?

Paolo Rossi durante i mondiali del 1978
Le cronache dell’epoca raccontano che Giussy Farina, presidente del Vicenza appena retrocesso in Serie B, doveva assolutamente sistemare il bomber della nazionale in una squadra di Serie A, possibilmente una grande squadra. La permanenza a Vicenza sarebbe stata impossibile visto che oramai Rossi era titolare fisso in nazionale. Il ragazzo aveva espresso al presidente le sue preferenze: o Juve (nelle cui giovanili aveva già giocato) o Milan (campione d’Italia nel 1979).
C’era però un problema: la Juventus aveva fatto svenare appena un anno prima Farina per la comproprietà di Rossi. Infatti, in assenza di un accordo per la risoluzione della comproprietà stessa, si andò alle buste. E clamorosamente il Vicenza offrì la cifra più alta, circa 2 miliardi e 600 milioni di lire.

Ora la Juve restava alla finestra. Difficilmente il suo presidente Boniperti sarebbe andato incontro alle pretese di Farina. Poi storicamente la Juve non partecipava ad aste di calciatori.
Il Milan sembrava invece totalmente disinteressato al giocatore.


Il presidente del Vicenza del
1979, Giuseppe "Giussy" Farina
L'allora presidente del
Napoli, Corrado Ferlaino
All’improvviso il Napoli piombò su Rossi. L’offerta del presidente Ferlaino era corposa. Si parlò subito di una valutazione intorno ai cinque miliardi di lire.
Come già accaduto quattro anni prima con l’acquisto di Giuseppe Savoldi, mister 2 miliardi, non appena appurato l’interessamento a Pablito da parte del Napoli, il mondo dell’informazione si staccò dal calcio e si tuffò sui problemi della città partenopea. 
E fu paradossalmente proprio il sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, primo sindaco comunista nella storia della città, a dare il “la” alle polemiche, tuonando contro il “supercommercio di uomini”.
Il battibecco tra sindaco e presidente del Napoli Calcio fu avvilente, tra accuse reciproche ed insulti.

Maurizio Valenzi,sindaco di Napoli
dal 1975 al 1983
“Rancori ed odi mai sanati”, scriveva “La Stampa” di Torino, giornale della famiglia Agnelli, che aggiunse prontamente una lista dei problemi di Napoli, quasi che gli stessi potessero essere risolti utilizzando i soldi che Ferlaino stava per spendere per l’acquisto di Paolo Rossi.

Valenzi si ricrederà alcuni giorni dopo, forse per il timore di divenire improvvisamente impopolare, o forse per la sensazione che le sue frasi potevano aver alimentato le solite critiche verso la città di cui era sindaco.



Quando il passaggio di Rossi al Napoli sembrò ormai certo, alcuni giornali del nord ci informarono prontamente che i tifosi del Napoli “sull’onda di un cieco entusiasmo, alla notizia dell’arrivo del centravanti vicentino sono accorsi a sottoscrivere abbonamenti… la società ha raccolto fior di quattrini anche nelle sacche della disgregata cintura suburbana…”.
Insomma, una descrizione non proprio tranquillizzante per chiunque avesse già manifestato una certa ansia di rimanere soffocato dall’abbraccio dei tifosi e magari avesse voluto fare della privacy un caposaldo della propria esistenza .

Questo era lo scenario in cui Paolo Rossi, detto Pablito, di anni 23, si trovò all’inizio dell’estate del 1979.
E' comunque doveroso ricordare che il Napoli era una squadra che non aveva vinto ancora nulla, con grandi aspirazioni ma di fatto una squadra di metà classifica.
Lui non credo conoscesse la città. Gli stereotipi intorno a Napoli erano molto solidi.
Forse si fece consigliare da fidanzata, famiglia, amici e colleghi. Forse pensava che alla fine al Milan o alla Juve ci sarebbe finito lo stesso, visto che in Serie B non avrebbe di certo giocato. Diamine, lui era "Pablito", il centravanti dell’Italia…

Ecco che Paolo Rossi disse di no.
Disse “sono stanco di fare l’uomo spettacolo, non mi va di essere protagonista a vita”.
Parlò di “spensieratezza della gioventù”, di “preoccupazione per la sua esistenza”.

Napoli già offesa da chi scriveva di una città “disposta per un’ora di svago a grossi sacrifici, a dimenticare lo stato di emarginazione e miseria”, lo fu ancor di più per non essere stata capita da un ragazzo di 23 anni che si rifiutava di indossare la maglia azzurra.

Così Rossi non si trasformò in un “San Gennaro del gol, un santino a cui si chiede la vittoria come miracolo ogni domenica”, come scrisse qualcuno dando fondo al più classico campionario di luoghi comuni.

Di fatto Rossi non volle prendersi la responsabilità di divenire l’uomo simbolo di una squadra in cerca del suo primo scudetto. Non volle sulle spalle il peso di una città sempre in cerca di riscatto, soprattutto attraverso il calcio.

Paolo Rossi dichiarò di volere essere solo uno degli undici in campo.
A Napoli forse sarebbe stato impossibile.
Però credo che in cambio Napoli gli avrebbe dato un affetto incredibile.
Come la storia dimostrò con un altro ragazzo, poco più che ventitreenne, appena cinque anni dopo…


venerdì 12 giugno 2015

Sarri Maurizio, napoletano a furor di popolo. Per ora.


Maurizio Sarri allo stadio San Paolo

L'avevo detto a Bruno e Michele.
Si, glielo avevo detto: "quell'allenatore non è un fesso".

Loro no, hai voglia a perdere tempo e spiegare che quel signore in tuta aveva studiato bene il Napoli e che conosceva i punti deboli della squadra di Rafa Benitez. Hai voglia a dire che l'Empoli era stato caricato a molla dal suo allenatore per fare la prestazione dell'anno.

Loro no. Bruno e Michele erano incavolati neri con il Napoli, con il suo allenatore, con i calciatori e pure con il presidente! Per la cronaca Bruno e Michele non hanno niente a che fare con "Gino e Michele". Non scrivono libri di barzellette, non fanno i comici e non si occupano di cabaret. In compenso fanno il tifo per il Napoli. Che quella sera qualcosa di comico lo aveva avuto, soprattutto in difesa.

Però l'uomo in tuta, all'anagrafe Maurizio Sarri, ci mise molto di suo per rendere ridicola la prestazione del Napoli. La sua squadra aveva dominato in tutte le zone del campo ed i suoi attaccanti passavano da tutte le parti. 
E a fine partita quasi quasi non era neanche contento del 4-2, diceva che "il 4-1 rispecchiava meglio l'andamento della partita".
"Di solito i giocatori giovani e meno famosi fanno i partitoni contro il Napoli per mettersi in evidenza", provai a dire sommessamente mentre il cameriere de "Gli Scugnizzi" di Empoli ci serviva le nostre pizze "Pulcinella" con mozzarella di bufala DOP.
Il maxi-schermo di fronte al tavolo, in una sorta di supplizio cinese, ci riproponeva di continuo gli highlights della partita che avevamo da poco finito di vedere dalla tribuna sud del "Castellani". 
"Non è possibile prenderne quattro! Non è possibile perdere con l'Empoli!". Bruno non voleva sentire ragioni o giustificazioni. "Vedi Bruno - provavo a ragionare - in tanti dicono che l'Empoli gioca bene, in tanti vogliono il suo allenatore, come si chiama? Ah si, Sarri. Dicono che andrà al Milan. Poi stasera ha giocato benissimo, non trovi?"
"Eh già, mò ci mettiamo pure paura dell'Empoli e del suo allenatore... E' arrivato il nuovo Guardiola!".

Ripensavo ai giocatori che fanno "il partitone" contro il Napoli, magari sperando in un ingaggio futuro con una grande squadra.
Non immaginavo che invece quell'ingaggio lo avrebbe guadagnato l'uomo in tuta, ovvero Sarri Maurizio da Figline Valdarno, classe 1959, come scrivevano una volta i giornali che ne capiscono.
Tranne poi accorgersi che si tratta di Sarri Maurizio da Napoli, casualmente da Napoli.
Dico casualmente da Napoli ripensando a Claudio Gentile da Tripoli, o Pepito Rossi da Teaneck.

Però ho l'impressione che per molti partenopei il suo certificato di nascita abbia un'importanza particolare, quasi lo scoglio a cui aggrapparsi per credere in lui fino in fondo.
E' inutile fingere che non sia così, la sua scelta ha provocato molto sconcerto. Gli addetti ai lavori gli sorridono, ma temo che siano pronti ad impallinare lui ed il suo presidente se le cose dovessero andare male.
Chi conosce il calcio italiano sa benissimo che in quel caso in tanti ricorderanno all'allenatore il suo pedigree operaio fatto anche di esoneri ed al presidente la sua incoerenza.
Le fughe di notizie su presunti (quanto improbabili fino a prova contraria) contatti tra la SSC Napoli e Vincenzo Montella (anche lui da Napoli e dintorni) sono il primo biglietto da visita che Sarri dovrà tenere ben conservato. Il primo avvertimento che a Napoli a volte funziona così.
E che lui già parte con l'handicap. L'handicap di chi agli occhi di una parte della tifoseria potrebbe non essere stato la prima scelta, e forse neanche la seconda.
E quella napoletanità ostentata per conto terzi da alcuni notabili cittadini come un prezioso marchio di fabbrica, pur se solo di nascita e non di formazione, sarà presto dimenticata se non sarà accompagnata dai risultati, non dico " 'o scudetto", ma almeno da prestazioni all'altezza del blasone percepito dai tifosi e da tante "maglie sudate", come recita l'ultima tendenza cittadina.

Il commento di De Magistris: "Benvenuto a un figlio di Napoli, a un figlio di Bagnoli"

Maurizio Sarri ci proverà, questo è certo. E mal che vada si consolerà pensando che per fare quattro passi vicino al mare almeno non avrà dovuto fare sessantacinque chilometri di FI-PI-LI prima di arrivarci...